Creare processi di lavorazione innovativi, in grado di generare una produzione efficiente e sostenibile, al tempo stesso, capaci di esaltare ulteriormente le caratteristiche sensoriali dei vini. Per le cantine vinicole la ricerca dell’eccellenza è continua e il suo raggiungimento passa attraverso ricerca e sperimentazione. L’applicazione dei gas in enologia e l’impiego di nuove tecnologie nella lavorazione delle uve permettono non solo di superare le criticità nelle fasi più delicate, ma anche di valorizzare il prodotto finale.Lo dimostra l’esperienza di Araldica Castelvero, Cantina Il Cascinone, vincitrice della seconda edizione del Premio Internazionale SIAD, iniziativa ideata dal gruppo industriale, in collaborazione con Oicce (Organizzazione interprofessionale per la comunicazione delle conoscenze in enologia) per stimolare l’innovazione nell’utilizzo dei gas tecnici in enologia.
Il team di esperti ha sperimentato “una nuova soluzione applicativa di criomacerazione con l’intento di estrarre maggiormente e preservare dalle ossidazioni la componente aromatica primaria dell’uva mediante una macerazione a freddo di breve durata del pigiato”, spiega Alberto Caudana, docente al corso di Laurea in Tecnologie alimentari dell’Università di Torino, coordinatore del gruppo di lavoro composto da Carlo Manera, enologo e direttore Tecnico della Cantina Araldica – Castelvero, da Gaetano Pio Liscio e Camilla De Paolis, enologi della Cantina Sperimentale dell’Università di Torino, e Martina Bordellini, tesista del corso di Laurea Magistrale internateneo in Scienze Viticole ed Enologiche.
Dottor Caudana, in che cosa consiste il vostro progetto “Valorizzazione dei vini a base di Cortese mediante macerazione pre-fermentativa con gas criogenico”?
La sperimentazione si è concentrata sui vini bianchi a base di Cortese. Proprio per le peculiarità di queste uve e la loro lavorazione, la protezione dall’ossidazione risulta essenziale e ciò comporta necessariamente un adeguato ricorso alla protezione con gas inerti sin dalla pigiatura dell’uva.
In quale contesto avete operato?
La sperimentazione è stata condotta da Araldica Castelvero, Cantina Il Cascinone. Il vitigno Cortese in Piemonte rappresenta 3.000 ettari coltivati, uno DOCG e quattro DOC, per poco meno di 100.000 ettolitri di imbottigliato nel 2019, ma soprattutto una lunga e nobile tradizione documentata fin dal XVII secolo. Vitigno verosimilmente autoctono a bacca bianca il Cortese – conosciuto anche con i termini dialettali di Corteis, Courteis e Courteisa, si adatta a suoli anche molto diversi, purché privi di ristagno idrico, ma predilige i terreni ricchi di sedimenti, non troppo fertili. È coltivato sulle colline piemontesi a sud di Alessandria, da Ovada fino ai Colli Tortonesi, in provincia di Asti sulla sponda destra del Tanaro e di Cuneo, in bassa Valle Belbo. Elevata acidità e moderata alcolicità sono le caratteristiche principali delle uve Cortese, che possono presentare profili molto diversi a seconda dell’ambiente di coltivazione e delle tecniche agronomiche adottate. Questa la ragione per cui si esprime in diverse denominazioni di origine: Gavi o Cortese di Gavi DOCG, Colli Tortonesi Cortese DOC, Cortese dell’Alto Monferrato DOC, Piemonte Cortese DOC (1994), Monferrato Casalese Cortese DOC (1994). Tra le espressioni del vitigno da ricordare anche la versione “Marengo”, di nuova introduzione nel disciplinare Piemonte DOC Cortese, che prevede vini spumanti o frizzanti ottenuti con uve Cortese.
Qual è il modello di produzione prevalente?
È quello di un vino bianco giovane e fruttato, dal colore giallo paglierino, contraddistinto da profumi di origine fermentativa, dotato di freschezza gustativa e sapidità conseguenti alla ricca dotazione di acidità fissa. Nell’ottica di produrre vini più sostenibili e con un ridotto tenore di solfiti, abbiamo riscontrato la necessità di intervenire su tale modello produttivo per superare alcune criticità legate alla componente olfattiva che si basa prevalentemente su aromi fermentativi che non esaltano le potenzialità del vitigno.
Quale modello avete elaborato nel corso della sperimentazione?
Abbiamo cercato di sviluppare un modello di vinificazione capace di estrarre maggiormente la componente aromatica primaria dell’uva mediante una macerazione a freddo di breve durata ma efficace, subito dopo la pigiatura, sfruttando il tempo in pressa per ottenere una cessione di composti solubili nel mosto, limitando il passaggio di sostanze fenoliche. Evitando la macerazione delle uve in vasca, si ottiene un ulteriore risultato: evitare difficoltosi e onerosi trasferimenti del pigiato.
In linea con le finalità del Premio SIAD, lanciato con l’obiettivo di stimolare la ricerca in enologia attraverso l’impiego innovativo di gas, avete sfruttato le caratteristiche della CO2. Come?
L’impiego dell’anidride carbonica, erogata sul pigiato attraverso l’innovativo impianto Kryos, consente di ottenere un rapido raffreddamento, un’azione leggermente cauterizzante dei tessuti della buccia capace di favorire le cessioni, una limitazione della presenza di ossigeno e, di conseguenza, un forte rallentamento delle attività ossidasiche. Il mosto ricavato dalla pressatura è freddo e non deve essere ulteriormente raffreddato per la successiva sedimentazione sfecciante. Questo aspetto rappresenta un ulteriore elemento di sostenibilità energetica.
La sperimentazione ha confermato la bontà dell’utilizzo dell’anidride carbonica nella lavorazione delle uve a base cortese, ma non solo. È così?
Sì, in effetti anche altre varietà possono giovarsi di questi effetti pertanto sono in corso prove su vitigni aromatici come il Brachetto, il Sauvignon blanc e su Nebbiolo, dove le condizioni di abbassamento della temperatura e la scarsa presenza di ossigeno potrebbero favorire l’estrazione e la protezione delle prime frazioni antocianiche che fuoriescono dalle bucce durante l’ammostamento. Dalle prime prove si evidenzia un efficace e repentino abbassamento della temperatura del mosto favorendo le fasi di estrazione prefermentativa con un incremento della frazione colorante e una maggiore protezione del mosto dalle ossidazioni subito dopo la pigiatura, momento particolarmente critico poiché non vi è ancora l’anidride carbonica prodotta dalla fermentazione.
Le aziende agricole, in particolare le cantine vinicole, stanno affrontando diverse sfide, quali saranno le principali nei prossimi anni?
I produttori di vino da tempo si trovano a fronteggiare diverse sfide e molti sono i fronti aperti, partendo dalla riduzione dell’uso di solfiti e dell’impatto ambientale della difesa della vite dalle malattie. La sostenibilità ambientale è una delle principali priorità, per questa ragione si lavora costantemente all’implementazione di soluzioni al fine di contenere il consumo energetico delle cantine e individuando nuove tecniche per la riduzione e riutilizzo dell’acqua utilizzata nel processo produttivo, oltre che per il recupero di energia dai sottoprodotti enologici. Non da ultimo occorre valorizzare ed esprimere al massimo le caratteristiche del nostro patrimonio ampelografico autoctono, una ricchezza che permette di diversificare le produzioni e attrarre un consumatore sempre più curioso e attento. Per questo è necessario ampliare le nostre conoscenze sui vitigni rari e sviluppare modelli di vinificazione ad hoc per esaltarne le caratteristiche.
Qual è, secondo lei, la chiave di volta, per vincere queste sfide?
Sicuramente lavorare in rete, adottando un approccio multidisciplinare, permetterà di ottenere nei prossimi anni grandi risultati sia in campo viticolo sia enologico.
Che ruolo hanno i gas nel favorire l’innovazione in enologia?
L’uso dei gas è fondamentale per favorire una produzione innovativa del vino. In particolare, risulta essenziale al fine di proteggere dalle ossidazioni in tutte le fasi di produzione dal mosto fino all’imbottigliamento. Come dimostra la nostra ricerca, i gas sono indispensabili per preservare le caratteristiche sensoriali dei vini e limitare al massimo l’uso dell’anidride solforosa. In taluni casi, possono anche facilitare l’estrazione prefermentativa delle componenti aromatiche e fenoliche dell’uva permettendo di caratterizzare maggiormente il vitigno di origine.
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